di Aurora Balestra e Alba Giulia Scagnetti (3B)
Uno dei problemi con cui gli educatori si devono spesso confrontare è quale sia il modo giusto di insegnare la storia di una giornata commemorativa e quali fonti riguardanti l’Olocausto utilizzare.
La Shoah è uno degli avvenimenti storici maggiormente documentati: vi sono documenti ufficiali dei nazisti, documenti ufficiali degli Alleati, documenti personali appartenenti ad ebrei e non ebrei, e tutti questi sono solo alcuni tra i milioni di documenti relativi a quel periodo.
Uno dei tanti esempi è la testimonianza di Marcel Nadjari, ex-prigioniero sopravvissuto del campo di concentramento di Auschwitz. La sua lettera di addio alla famiglia è una risposta ai negazionisti che definiscono l’Olocausto la “Bugia di Auschwitz”. Quest’ultima, ritrovata nel 1980, avvolta in una borsa di pelle dentro una bottiglia di vetro e nascosta sotto il terreno, presentava la documentazione di ciò che aveva visto e vissuto in quei terribili anni. Egli, infatti, fu deportato nel campo di concentramento nell’aprile del 1940, per poi diventare un membro del Sonderkommando, gruppi speciali di deportati il cui compito era quello di far spogliare i nuovi arrivati negli spogliatoi.
Le pagine contenute nella bottiglia, usurate dal tempo, erano illeggibili, ma con l’aiuto della procedura multispettrale, lo storico russo Pavel Poglian è riuscito a ricostruire il 90% delle testimonianze, descrizioni raccapriccianti che svelano le condizioni di vita e le violenze subite dai prigionieri.
“Dopo essersi spogliati venivano portati nella camera della morte, dove i tedeschi avevano messo delle tubature per fargli credere fosse un bagno. Le bombole del gas arrivavano sempre con una macchina della Croce Rossa tedesca e due uomini della grande SS. Trascorsi sei o sette minuti, nelle camere, iniziavano a morire. Mezz’ora dopo, iniziava il nostro lavoro: avremmo dovuto prendere i corpi di donne e bambini innocenti e portarli all’ascensore che portava nella stanza con i forni dove i loro corpi sarebbero bruciati senza combustibile, a causa del loro grasso”.
Con un linguaggio sobrio e semplice, Nadjari riesce a descrivere come il corpo di una persona poteva essere ridotto a 640 grammi, per poi essere gettato in un fiume vicino.
Ha poi aggiunto che ha visto passare sotto i suoi occhi circa 600.000 ebrei ungheresi, francesi e 80.000 polacchi di Litzmannstadt. Tormentato dai ricordi e dalle azioni che ha dovuto compiere, l’uomo ha rivelato: “Mi sono chiesto spesso come avrei potuto uccidere altri ebrei e ho spesso preso in considerazione la possibilità di mettere fino a tutto questo. Ogni volta che qualcuno veniva ucciso mi chiedevo – Dio esiste? -. Nonostante tutto questo, ho sempre creduto in lui. Continuo a credere che questa sia la sua volontà.”
Quando Nadjari scrisse la lettera non pensava di vivere così a lungo perché i membri di Sonderkommando venivano sempre uccisi per poi essere sostituiti da nuovi arrivati. Nadjari è riuscito a fuggire dal campo di concentramento e sopravvivere. Dopo l’arrivo dell’Armata Rossa, fu deportato in un altro campo in Austria dove successivamente fu liberato. Ritornò nella sua città, Salonicco, per poi emigrare con la moglie negli Stati Uniti, dove lavorò come sarto a New York, e morì nel luglio del 1971.
Tuttavia, solo cinque dei membri appartenenti al Sonderkommando hanno lasciato testimonianze scritte di ciò che hanno visto, e l’unico ad essere sopravvissuto è stato proprio Nadjari, da noi ricordato in questa giornata così importante per conservare e preservare la Memoria affinché crudeltà di questo genere non si ripetano.