di Martina Natili e Azzurra Tacchi (2D)
Ai tempi di Shakespeare il lunch non era stato ancora inventato. Il breakfast era un pasto relativamente leggero che, in genere, si svolgeva poco dopo l’alba e dinner era, per molti, il pasto principale della giornata, e si consumava intorno a mezzogiorno. Con il termine supper ci si riferiva per lo più a una “festa mobile” che, secondo i manuali sanitari dell’epoca, doveva preferibilmente svolgersi cinque o sei ore dopo il dinner, preferibilmente dopo le sei di sera.
Per i più alti membri della society, ciò che veniva chiamato main supper poteva essere seguito da un banquet, spesso rappresentato da un festoso piatto dolce. I pasti erano generalmente serviti in due messes o removes (praticamente ‘in due parti o tempi’), in uno stile denominato service à la Française, tipico nell’epoca Elisabettiana, in cui più portate dolci o salate venivano disposte contemporaneamente sulla tavola per i commensali. Dopo aver terminato questa prima selezione di portate, questi piatti venivano sostituiti con una seconda selezione di piatti diversi (the second mess).
A partire dalla fine del XIX secolo fu introdotto il service à la Russe, lo stile usato tutt’oggi in Europa, in cui ogni commensale viene servito individualmente con diverse portate fisse, e i piatti salati vengono serviti prima di quelli dolci. Nelle opere di Shakespeare la messa in scena di un pasto rappresentava più che altro una “tecnica scenica”, un pretesto per sancire un cambiamento di umore all’interno della narrazione.
In cosa differiva la cucina di Shakespeare da oggi?
Si dice che durante l’epoca Elisabettiana, in Inghilterra, le persone intrattenessero i loro amici offrendogli cibi insoliti e sorprese, come una torta al forno piena di merli vivi (live blackbirds), o un uovo d’oca svuotato e riempito con un pipistrello (an emptied goose egg filled with a flying bat). Gli ospiti, da parte loro, ricambiavano con dei jokes (barzellette): la filosofia medica del tempo, d’altronde, sosteneva che ridere avesse indiscutibili benefici sulla salute e, in particolare, sulla digestione. Alcune delle abitudini a tavola erano diverse da quelle praticate oggi: gli inviti venivano comunicati a voce direttamente da uno degli ospiti a tutti gli altri; i posti a tavola venivano prestabiliti con cura, con una gerarchia speciale per duca, conti, vescovi, visconti, baroni e cavalieri. Le tovaglie erano generalmente bianche, mentre i piatti erano di legno, peltro o argento. A partire dal Medioevo entrò in uso l’abitudine di aggiungere piccoli pezzi di pane tostato alle bevande, da qui l’usanza di drinking a toast. I calici, fatti di legno, peltro, pelle o argento, venivano risciacquati in una bacinella e poi passati all’ospite successivo. Le ricette, durante il periodo elisabettiano, erano scritte sotto forma di testo e non includevano titoli o elenchi di ingredienti.
Come si mangiava nell’Inghilterra elisabettiana?
Gli elisabettiani più ricchi mangiavano pasti abbondanti e costituiti da molte portate, mentre molte persone più povere non avevano nemmeno un forno proprio e alcuni tra i più poveri sopravvivevano con gli avanzi dei ricchi. Generalmente solo i freemen, gli uomini liberi di Londra, potevano vendere nei mercati; mentre i countrymen della periferia avevano diritti piuttosto limitati. C’erano mercati sparsi per tutta Londra: una casalinga, infatti, non doveva camminare molto per fare la spesa quotidiana. I mercati erano tutti controllati dal Lord Mayor, che teneva gli occhi aperti per controllare eventuali reati o speculazioni. Erano aperti sei giorni alla settimana, dalle 6 alle 11 del mattino e dalle 13 alle 17 del pomeriggio. Il commercio domenicale era limitato alle prime ore della mattina e alla vendita di prodotti deperibili come milk, fruit e vegetables. Il pane era rigorosamente controllato, sia nella qualità che nel prezzo. C’erano file di bancarelle di macellai (rows of butchers’ stalls) a portata di mano, ovunque. I prodotti non deperibili, come la sabbia usata per le pulizie domestiche o lo zucchero, venivano venduti nei negozi.
Alcuni negozi erano molto piccoli, larghi non più di un metro: difficilmente ci sarebbe stato posto per una cliente che indossava un farthingale (“guardinfante”: struttura che permetteva alla gonna di rimanere gonfia).
Non tutte le case avevano un forno: era abbastanza normale che la casalinga mandasse una torta a cuocere dal panettiere. Nella propria cucina si poteva cucinare sul fuoco: gli spiedi venivano girati da un ragazzino, o da un cane che correva all’infinito su una ruota, o da un ingegnoso dispositivo chiamato spit-jack (spiedo), usando il calore del fuoco. Le verdure venivano bollite in un calderone sul fuoco. Il pesce veniva fritto nel burro. Il cuoco aveva bisogno di cucchiai dal manico lungo, schiumarole (skimmers) e mestoli (ladles). Per piccoli piatti speciali usava un piccolo chafing-dish (scaldavivande) sopra un braciere.
Tutto era molto condito. Si dice che il condimento servisse a mascherare il sapore del cibo che aveva iniziato a marcire; ma, forse, gli elisabettiani amavano semplicemente il sapore di zucchero, zenzero e cannella con panna in un budino e il condimento di arance, zucchero, chiodi di garofano, macis, pepe e cannella sul pollo.
A tavola l’uso delle forchette era ancora raro. Ogni commensale portava con sé un piccolo coltello da usare a tavola dove avrebbe trovato un cucchiaio su ciascun posto. Acqua e un asciugamano erano pronti per lavarsi le mani prima di sedersi.
L’educazione di un gentleman veniva messa alla prova: egli doveva sapere come tagliare le parti degli uccelli o del pesce e dei pesci che venivano serviti a tavola, e doveva conoscere i termini precisi di tutto il procedimento.