di Martina Natili (2D)
Muscoli d’acciaio in grado di sforzi incredibili, polpacci resistentissimi nonostante la fatica si protragga per giorni e giorni, braccia possenti in grado di scagliare qualsiasi oggetto a distanze difficili da immaginare. Il pubblico è in visibilio quando il campione sportivo vince una gara.
Lo sport è sempre alla ricerca di un nuovo “fenomeno” da osannare: ma a quale prezzo? Non sempre bastano il talento, il sacrificio, l’allenamento costante e prolungato; per questo motivo si fa ricorso al doping, ovvero all’uso di sostanze per migliorare le prestazioni atletiche, intervenendo principalmente, ma non solo, sulla massa muscolare. Le sostanze maggiormente usate sono gli steroidi anabolizzanti, molecole derivanti dal testosterone, l’ormone sessuale maschile. Il termine “anabolizzanti” indica che queste sostanze sono in grado di accelerare una serie di processi biologici come la sintesi di proteine, lipidi e carboidrati, che costituiscono le cellule. Il danno per la salute è rilevante. Mentre i bicipiti si gonfiano senza sforzo, si verificano molteplici effetti collaterali: alcuni di poco conto come la perdita dei capelli, la comparsa di acne, la crescita di peli (anche nelle donne) e lo sviluppo di tessuto mammario (anche negli uomini); altri invece più seri come il blocco della crescita, gli scompensi cardiaci, lo sviluppo di tumori e i disturbi della personalità.
La storia del doping inizia nell’antichità, all’epoca delle prime Olimpiadi nella Grecia classica. Le sostanze utilizzate per tale scopo sono varie e legate allo sviluppo della sintesi chimica, della farmacologia e della scienza medica. Esse permettono di aumentare la massa e la forza muscolare, l’apporto di ossigeno ai tessuti oppure di ridurre la percezione del dolore o di variare il peso corporeo; infine possono anche consentire all’atleta che ne fa uso di risultare negativo ai controlli antidoping. La lotta contro il doping degli atleti di alto livello iniziò con la morte del ciclista danese Knud Enemark Jensen durante le Olimpiadi di Roma del 1960. Il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) e alcune Federazioni sportive internazionali e nazionali nominarono una task force medica per studiare delle strategie di contrasto al doping. I primi risultati si ebbero solo dopo la scoperta di un altro corridore, Ben Johnson, dopato nelle Olimpiadi di Seoul del 1988, e con la fine della guerra fredda nel 1989, quando le autorità politiche mondiali crearono il WADA (World Anti-Doping Agency), l’agenzia internazionale che varò il Codice Mondiale Antidoping, in seguito accettato dalle federazioni sportive nazionali.