di Valeria Amadeo (3C)
L’8 marzo è la giornata internazionale della donna nella quale vengono ricordate le conquiste sociali e politiche ma anche le discriminazioni e le violenze nei confronti del genere femminile. In Italia il periodo più negativo per le donne è stato quello fascista perché i diritti non venivano riconosciuti.
Mussolini adottò una politica anti-femminista nella quale la donna aveva solo il ruolo di madre-casalinga. La donna aveva un ruolo subalterno, doveva eseguire tutto ciò che le veniva chiesto di fare dal padre o dal marito. Le donne erano escluse dalla sfera pubblica. Anche le questioni demografiche vennero affrontate unicamente nell’interesse dello Stato.
Così il regime fascista vietò l’uso di anticoncezionali e l’aborto, non esisteva alcuna forma di educazione sessuale o di controllo delle nascite. Durante il fascismo le donne, come affermavano gli slogan di Benito Mussolini, dovevano “obbedire, badare alla casa, mettere al mondo i figli e portare le corna…”.
Ogni aspetto della vita delle donne veniva deciso dallo Stato. Per questo molte femministe storiche diedero voce ai propri diritti e alla propria libertà. Tra queste Anna Kuliscioff e Maria Goia. Quest’ultima aveva lottato anche per l’estensione del voto delle donne prima dell’avvento del fascismo, dando vita nel 1911 al Comitato socialista per il suffragio femminile.
Durante il fascismo veniva denigrata la figura della donna spendacciona, irresponsabile oppure sterile. Tuttavia alcune donne in quel periodo assunsero un atteggiamento trasgressivo, soprattutto nelle grandi città: qui i genitori permettevano alle proprie figlie di andare nelle sale da ballo indossando gonne molto corte, capelli da maschietto e calze trasparenti.
Questi atteggiamenti mettevano gli uomini di quel tempo in difficoltà perché essi si sentivano minacciati dalla libertà femminile. La stampa fascista si fece interprete di queste paure tramite la propaganda e l’esaltazione dello stereotipo della donna madre, moglie e casalinga. Tutto ciò ostacolò l’ingresso delle donne nel lavoro e ritardò in Italia l’emancipazione femminile.