di Stella Alari e Vittoria Coluccini (3B)
Benvenuti cari amici dello Stradellino al “Leopardi show”. Oggi, per conoscere più da vicino una delle figure più importanti del Romanticismo italiano, andremo ad intervistare il nostro amatissimo e celeberrimo Giacomo Leopardi, uno dei più grandi poeti dell’Ottocento. Ma bando alle ciance e cominciamo con le vere e proprie domande!
Innanzitutto la ringraziamo per aver accettato di partecipare alla nostra intervista, immaginiamo che per lei non deve essere stato semplice, essendo una persona molto riservata.
“Ho accetto con molto piacere anche se, a dire il vero, sono abbastanza agitato. Per me è la prima volta davanti ai riflettori essendo un uomo d’altri tempi. Spero proprio di fare una bella esperienza televisiva!”.
D’accordo, partiamo subito dalla prima domanda: qual è il suo vero nome?
“Il mio vero nome è Giacomo Taldegardo Francesco Salesio Saverio Pietro Leopardi. Lo so è davvero lungo e noioso, ero un nobile in decadenza!”.
Può parlarci delle sue origini?
“Sono nato il 29 giugno del 1798 a Recanati. Mio padre, il conte Monaldo, pur volendomi bene era molto severo ed esigente, mentre mia madre Adelaide non ci rivolgeva mai una dolce parola o una carezza, né a me né ai miei fratelli.
Come ha compensato la freddezza da parte dei suoi genitori?
“Per riempire la mancanza d’affetto già da piccolissimo inventavo favole per i miei fratelli. All’età di dieci anni ho iniziato a studiare in modo “matto e disperatissimo”, rifugiandomi nella immensa biblioteca. Lì imparai da solo il latino, il greco, l’ebraico, l’inglese e il francese. Ho iniziato anche a scrivere delle poesie appuntandole in un enorme diario che ho chiamato Zibaldone“.
Questo le ha portato serenità?
“Niente affatto. Oltre a non avere una vita spensierata come i miei coetanei, il mio corpo, ad un certo punto, ha iniziato ad indebolirsi fino a che la mia povera schiena si è incurvata sempre di più. Perciò vivevo una doppia sofferenza, sia morale sia fisica. La solitudine era la mia compagna quotidiana; iniziai così a scrivere le mie poesie sull’infelicità umana e sul dolore”.
Non provò mai a scappare per fuggire da questa condizione?
“Certamente! Quante volte ho immaginato su quell’ermo colle la mia vita fuori da Recanati. Una volta, a ventuno anni, soffocato dall’atteggiamento opprimente della mia famiglia, tentai di scappare. Purtroppo mio padre mi scoprì subito e fui costretto di nuovo a sopprimere il mio istinto di fuga”.
Ha mai amato qualcuno?
“Posso dire di aver amato più di una donna. Ognuna, per diverse motivazioni, ha fatto breccia nel mio cuore. Purtroppo, però, nessuna ha corrisposto il mio sentimento portandomi così ad esprimere questo dolore in molte delle mie poesie più celebri”.
Chi è stata la vostra più grande musa ispiratrice?
“Fu Teresa Fattorini, che chiamai Silvia nella mia lirica a lei dedicata. Figlia del cocchiere di mio padre, fu per me simbolo della giovinezza e dei sogni traditi dalla vita. Morì di tisi troppo giovane e rappresentò per me l’impossibilità di raggiungere su questa terra la felicità”.
Chi fu il tuo più caro amico?
“Beh, non posso dimenticare il mio caro amico Pietro Giordani. L’amicizia per me è il fondamento della vita, una sicurezza. Tra gli uomini che ho conosciuto lui era l’unico a possedere tre virtù che tutti gli uomini dovrebbero avere: ingegno, cuore e dottrina”.
Riuscì mai ad andarsene da Recanati?
“Sì, me ne andai nel 1822. Conobbi Roma, Firenze, Milano, Bologna, Pisa e tante altre città d’Italia. Le mie opere furono apprezzate ovunque, ma anche criticate perché giudicate troppo pessimiste. A volte tornavo a Recanati deluso dalle mie esperienze, ma il mio destino era quello di ripartire sempre, senza mai arrendermi”.
Quanti componimenti ha scritto nella sua vita?
“Dal 1818 al 1836 ho scritto 41 componimenti che parlano della mia ricerca del piacere e del pessimismo cosmico che mi ha contraddistinto”.
Siamo giunti all’ultima domanda…perché ha intitolato la raccolta delle sue poesie Canti?
“La intitolai Canti perché nelle edizioni precedenti i titoli furono: Canzoni e poi Versi, soltanto che Versi era veramente generico; quindi, gli diedi il titolo di Canti, un titolo che nessun poeta ha mai usato prima di me e ne vado molto fiero!”.
E con questa risposta abbiamo concluso la nostra strabiliante intervista. Speriamo che lo show vi sia piaciuto cari amici lettori! Alla prossima intervista.