di Giorgia Mantovani (3D)
Il 2 giugno è la Festa della Repubblica, celebrata in questa data perché il 2 e il 3 giugno 1946 gli italiani scelsero quale forma dare allo Stato, tra monarchia e repubblica parlamentare. Un voto particolarmente sentito, che vide la partecipazione dell’89% degli aventi diritto e che decretò la fine della monarchia e la nascita della nostra Repubblica.
Il referendum del 2 giugno 1946 fu un evento unico di autodeterminazione di un popolo che decise di dare un calcio alla dinastia dei Savoia, i regnanti che non avevano mosso un dito per combattere il fascismo.
Umberto II cercò, invano, di tenersi stretto il trono. Era diventato re d’Italia soltanto da tre settimane, dopo la tardiva abdicazione del padre, Vittorio Emanuele III, e la notte tra l’1 e il 2 giugno fece l’ultimo disperato tentativo di convincere gli italiani a non votare per la repubblica. Era, però, troppo tardi, perché gli italiani non avevano dimenticato che suo padre aveva legittimato Benito Mussolini (arrestato tre anni prima), ratificato la marcia su Roma, emanato provvedimenti contro la libertà di stampa, accettato le leggi razziali, messo sotto silenzio le violenze degli squadristi e fatto tante altre cose ancora che al popolo non erano piaciute, come la fallimentare guerra di Etiopia e la disastrosa alleanza con Hitler.
Le votazioni ci furono tra il 2 e il 3 giugno ed erano le prime votazioni libere dopo 22 anni di regime fascista (le ultime erano state nel 1924). Agli elettori, tutti cittadini italiani di ambo i sessi e che avessero raggiunto la maggiore età (all’epoca erano 21 anni), furono fornite due schede: la prima era per scegliere la forma dello Stato, tra monarchia e repubblica; la seconda per eleggere i deputati all’Assemblea costituente, che avrebbe avuto il compito di redigere la nuova carta costituzionale.
Alle urne si presentarono poco meno di 25 milioni di italiani (furono esclusi gli abitanti dell’Alto Adige e di Trieste) e di questi 25 milioni di persone il 54,27% scelse la repubblica.
I giochi sembravano fatti, ma non mancarono le contestazioni da parte dei monarchici, che richiesero altri dieci giorni per ricontare i voti. A quel punto, anche se era ormai chiaro che la monarchia aveva perso, il re decise di aspettare a Roma la proclamazione ufficiale dell’esito del referendum.
Soltanto il 13 giugno il monarca (a quel punto ex) lasciò l’Italia per raggiungere la famiglia reale, che si era già rifugiata in Portogallo il 6 giugno, dopo aver votato. Ma l’ex sovrano Umberto II, come ultimo atto del suo regno, si rifiutò di riconoscere la legittimità della Repubblica, e questo portò alla XIII Disposizione transitoria e finale della Costituzione, entrata in vigore il 1° gennaio 1948, che gli avrebbe chiuso le porte del suo Paese, compromettendo i rapporti dell’Italia con la famiglia Savoia.
Il 02/06/1946 è una data storica, non solo per la nascita della Repubblica italiana, ma anche perché mai, prima d’ora, nella storia era stata proclamata una repubblica mentre il re era sul trono. Ma c’è di più.
Per la prima volta in Italia votavano anche le donne. Scriveva Anna Garofalo, giornalista e scrittrice: “Lunghissima attesa davanti ai seggi elettorali. Sembra di essere tornati alle code per l’acqua e per i generi razionati. Abbiamo tutte nel petto un vuoto da giorni d’esame, ripassiamo mentalmente la lezione: quel simbolo, quel segno, una crocetta accanto al nome. Stringiamo le schede come biglietti d’amore. Si vedono molti sgabelli pieghevoli infilati al braccio di donne timorose di stancarsi e molte tasche gonfie per il pacchetto della colazione. Le conversazioni che nascono tra donne e uomini hanno un tono diverso, alla pari”. Milioni di donne in tutta Italia, nelle grandi città industriali del Nord come in quelle del Centro Sud, nei piccoli centri agricoli e nelle comunità montane, sostano composte in lunghe file davanti ai seggi elettorali. Alcune sono semplicemente abbigliate, altre sfoggiano look più accurati.
Qualcuna, come in una giornata di festa, indossa l’abito nuovo. Nessuna, attenta alle indicazioni che sono giunte dai partiti e dai comitati elettorali, ha messo il rigo di rossetto nel timore di annullare la scheda che, all’epoca, andava sigillata. Se si escludono le amministrative del marzo-aprile 1946 – che avevano riguardato le regioni del Centro Nord – il 2 giugno del 1946 le italiane si recano alle urne per la prima volta e possono esprimere la propria volontà politica sul Referendum ed eleggono i membri dell’Assemblea Costituente.
Una conquista importante perché all’inizio del 1900 la donna era ancora ritenuta una sorta di accessorio dell’uomo. Fu con la Prima Guerra Mondiale che le donne cominciarono ad essere impegnate, per necessità, nei lavori di responsabilità fino ad ora delegati all’uomo, ma è, soprattutto, con la Seconda Guerra Mondiale che la donna torna ad assaporare una sorta di parità con gli uomini. Durante la Resistenza sono molte le donne che divennero staffette, informatrici e parte attiva della lotta contro l’occupazione nazi-fascista.
Una volta terminata la guerra, con l’esperienza della Resistenza e della Liberazione, non si poteva più far finta di nulla. Le donne avevano conquistato il loro posto nel mondo e così con il decreto n. 74 del 10 marzo 1946, in occasione delle prime elezioni amministrative postbelliche, fu concesso alle donne con almeno 25 anni di età di eleggere, ma soprattutto di essere elette. E fu così che l’Italia ebbe le sue prime sei sindache donne: Margherita Sanna a Orune, in provincia di Nuoro; Ninetta Bartoli a Borutta, in provincia di Sassari; Ada Natali, che sarà poi parlamentare, a Massa Fermana, in provincia di Fermo; Ottavia Fontana a Veronella, in provincia di Verona; Elena Tosetti a Fanano, in provincia di Modena; Lydia Toraldo Serra a Tropea, in provincia di Vibo Valentia.