di Jasin Nuhiji (3C)
“Chi afferma che ho ucciso mia moglie strangolandola è un bugiardo. Amavo Anita e aspettavo il bambino che lei portava in grembo più di qualsiasi altra cosa al mondo”. Giuseppe Garibaldi in questa intervista allo Stradellino mette una volta per tutte a tacere le voci e la leggenda che lo dipingono come un uxoricida.
Salve signor Garibaldi.
“Chiamami semplicemente Garibaldi”.
Per cominciare le vorrei chiedere come è stato il suo rapporto con le donne.
“Di donne ne ho avute tante, anche le mogli dei miei amici cadevano ai miei piedi. Ho avuto 3 mogli, ma colei che mi ha conquistato il cuore è senza dubbio Anita”.
Dove ha conosciuto Anita?
“In Brasile, durante la rivoluzione brasiliana. Mi ha colpito fin da subito, ma purtroppo è morta a Mandriole, nel comune di Ravenna”.
Ci risulta che sua moglie Anita sia morta strangolata. Cosa pensa di chi ha dato la colpa a lei?
“Sono solo dei bugiardi! Io non avrei mai e poi mai potuto uccidere mia moglie, lei era pure incinta quando è morta, aspettavo quel bambino più di qualsiasi altra cosa al mondo”.
Cambiamo argomento, lei è stato un grande generale, ci può parlare dell’impresa dei Mille?
“Certo. Nell’impresa dei Mille sono partito nel 1860 da Quarto, in Liguria, per poi sbarcare a Marsala, in Sicilia. Ho conquistato il regno delle due Sicilie per poi essere fermato da Cavour. Avevo intenzione di conquistare anche lo Stato della Chiesa, ma per fortuna Cavour mi ha fermato. Se avessi attaccato Roma l’intera Francia avrebbe attaccato l’Italia per difendere il papa. Sono molto fiero di mio figlio Menotti che mi ha aiutato nell’impresa contro il regno delle due Sicilie”.
Le persone si chiedono perché avevate tutti le camicie rosse, e perché avete scelto proprio il colore rosso.
“In verità non avevamo tutti le camicie rosse, erano in pochi ad indossarle. Le avevo recuperate nel 1843, erano destinate a un mercato di Buenos Aires per gli operai che lavoravano negli stabilimenti di carne salata. Poi il rosso per me è il simbolo dell’energia”.
C’è una canzoncina che racconta della sua ferita a una gamba: la storia che racconta quella canzone è vera?
“Purtroppo sì: quei maledetti bersaglieri mi hanno colpito alla gamba sull’Aspromonte, in Calabria, mentre dicevo ai miei uomini di non rispondere, ma non tutti mi diedero retta. Mi avevano rinchiuso in gabbia ed è dovuto intervenire il re per liberarmi, dopo tutto quello che ho fatto osano pure dedicarmi canzoncine”.
Grazie mille signor Garibaldi…
“Chiamami Garibaldi!”.
Mi scusi Garibaldi, è stato un grande piacere parlare con lei.
“Il piacere è stato mio”.